Tu sei qui:Neve e ... / Il Passo del Sempione
![]() |
Due righe sul famoso passo tra Italia e Valais svizzero [clicca sulle foto per ingrandirle] |
"Nel 1906 il giornalismo italiano si dedicò ai conflitti sociali persistenti, alle crisi di governo, alla conclusione dei progetti di statalizzazione delle reti ferroviarie, all’attività diplomatica legata alla conferenza di Algeciras, agli accordi commerciali stipulati con il Negus di Etiopia ed al trattato concluso con Francia ed Inghilterra per delimitare le reciproche sfere di influenza in Etiopia contrastando con tale atto le ingerenze di altre potenze nell’area ed in particolare quelle della Germania. Alle notizie gratificanti che riguardarono l’inaugurazione del valico alpino del Sempione, a quelle prestigiose concernenti l’assegnazione del premio Nobel a Giosué Carducci per la letteratura ed a Camillo Golgi, che divise il premio per la medicina con l’istologo Cajal, si contrapposero quelle certamente meno liete che riguardarono ulteriori disastri naturali che, in sequenza terrificante, dopo aver funestato il 1905, continuarono a verificarsi, sia nel 1906 sia negli anni successivi, devastando con la furia distruggitrice degli elementi scatenati ampie regioni d’Italia". [Fonte cronologia.it] |
![]() |
![]() |
"Bonaparte [..],egli legò l'Italia alla Francia come una schiava alla sua padrona. Ha steso una catena attraverso le montagne, mettendone un primo anello nelle mani di Ginevra, sua nuova figlia, e l'ultimo ai piedi di Milano, nostra vecchia conquista: questo ricordo della nostra calata in Italia, questa catena dorata per il commercio, questa via tracciata dal passaggio delle nostre armate e battuta dal sandalo di un gigante è la strada del Sempione. Questa strada, [...], alla quale hanno lavorato tutti i giorni per tre anni tremila operai, che si arrampica sui fianchi delle montagne, scavalca i precipizi e perfora le rocce, comincia a Glis, lascia Briga sulla sinistra e si eleva con una pendenza visibile all’occhio, ma quasi impercettibile alla marcia fino al colle del Sempione, per un tragitto di sei leghe. Tocca ai compilatori di itinerari non a noi precisare quanti ponti si passano, quante gallerie si attraversano, quanti acquedotti si scavalcano. Noi preferiamo rinunciarvi, tanto più che nessuna descrizione è in grado di dare un’idea dello spettacolo che si incontra ad ogni passo, dei contrasti e delle armonie che formano tra loro le valli del Ganter e del Saltina, dei salti delle cascate che si riflettono sugli specchi dei ghiacciai. Man mano che si sale la vegetazione e la vita scompaiono. Queste sommità non erano per nulla adatte ad uomini ed animali qualunque; lassù soltanto il genio poteva arrivare; lassù soltanto l’aquila poteva vivere. Il villaggio del Sempione, una conquista artificiale della valle sulle montagne, si stende miserevolmente come un serpente intorpidito su un altopiano nudo e selvaggio. Nessun albero lo ripara, nessun lo fiore rallegra, nessun gregge lo ravviva. Bisogna far salire tutto dal fondovalle, e l’unico modo per vedere la vita che rinasce, la natura che rivive è quello di scendere giù dai suoi due versanti. Quanto alla sommità, è il dominio dei ghiacci e delle nevi, è il palazzo dell’inverno. |
La discesa comincia appena fuori dal villaggio del Sempione e, come per illusione ottica, sembra più ripida della salita. In ogni caso è molto più accidentata per la ripidezza della montagna. Talora gira su se stesa ad angoli acuti, talaltra si ripiega in mille ondulazioni intorno alla montagna a perdita d’occhio e sembra al mitico serpente che cinge la terra. Inizialmente si incontra la galleria di Gaby, la più lunga e la più bella, che attraversa duecentoquindici piedi di granito per sbucare sulla valle di Gondo, divino capolavoro di scenografia dell’orrido che nessun pennello potrebbe imitare, nessuna penna descrivere, nessun racconto rievocare. È come un corridoio dell’inferno, stretto e gigantesco; mille piedi al disotto della strada il torrente, duemila piedi sopra la testa il cielo. La distanza della strada dal Diveria è così grande che a malapena la si ode muggire, benché la si scorga schiumeggiare furiosamente sulle rocce che formano la valle. Improvvisamente vi si para davanti un ponte slanciato, di aerea architettura, gettato da una montagna a un’altra come un arcobaleno di pietra. In pochi passi esso vi introduce nella galleria di Gondo, lunga settecento passi, rischiarata da due aperture. […] |
![]() |
Ben presto la valle si allarga, l’aria si riscalda, i polmoni respirano, riappare qualche traccia di vegetazione, degli scorci attraverso le sinuosità della montagna permettono all’occhio di riposarsi su un più dolce orizzonte. Riappare un villaggio dal nome gentile: è Iselle, la sentinella avanzata e quasi sperduta della dolce Italia. Ma di nuovo dietro ad essa la valle si richiude, le pareti rocciose nude e gigantesche si riavvicinano; l’incauta figlia della Lombardia è rimasta bloccata all’uscita di una gola che essa non riesce più a superare. Lungo la strada attraverso cui è arrivata è stata praticata una galleria. È la penultima, che supera un colossale pilastro di granito, la cui massa nera si staglia in alto contro l’azzurro del cielo, a metà contro il verde tappeto della collina, e alla sua base contro la schiuma bianca delle cascate. Si attraversa di slancio la galleria e alla sua uscita, sarà un’illusione, sarà un vero cambiamento atmosferico, vi vengono incontro i tiepidi soffi del vento d’Italia. A destra e a sinistra le montagne si allontanano, si aprono dei pianori e sopra questi pianori, come tanti cigni che si scaldano al sole, si incominciano ad intravedere gruppi di case bianche coi tetti piatti: è l’Italia, la vecchia regina, l’eterna ammaliatrice, l”Armida secolare che vi manda incontro ad accogliervi le sue contadine e i suoi fiori. Ancora un corso d’acqua da superare, un’ultima galleria da attraversare, ed eccovi a Creola, sospesa tra cielo e terra, su un ponte magico; sotto i vostri piedi avete la città con il campanile, davanti a voi il Piemonte. Più oltre, in lontananza, laggiù dietro l’orizzonte, Firenze, Roma, Napoli, Venezia, le meravigliose città di cui i poeti vi hanno raccontato tante storie favolose, e da cui non vi separa più nessun ostacolo. Anche la strada, stanca di tante curve, felice di ritrovare la pianura, si slancia in un unico rettilineo di due leghe fino a Domo d’Ossola.” [Fonte “Impressions de voyage en Suisse”, Alexandre Dumas, padre, 1833 tratto da « In viaggio sulle Alpi », Alexandre Dumas, I Licheni, Vivalda Editore, 1996] |