Vai al contenuto

L’anima della righini

Fritz Gansser ed Emilio Romanini, medaglie d’oro del Cai, Accademici

L’idea di creare una nuova scuola di scialpinismo inserita nella Sezione di Milano del Club Alpino cominciò a prendere forma nell’ottobre del 1965.

Un gruppo di accademici milanesi formato da Gansser, Romanini, Negri, Contini e Gallotti aveva avuto l’idea di ricordare un loro amico, Mario Righini, morto sotto una valanga scendendo in fuori pista dal Corvatch, creando una scuola che avesse come obiettivo principale proprio quello di insegnare ai giovani il modo più sicuro per percorrere le montagne invernali. La missione della scuola, infatti, è sempre stata quella di sviluppare e insegnare tecniche per aumentare la sicurezza in un ambiente difficile e, allora, non molto conosciuto. Gansser, in particolare, forte della sua lunga esperienza nelle truppe alpine svizzere e dei suoi studi sulla neve, sapeva forse più di altri l’imprevedibile insidiosità delle valanghe e si adoperava per mettere a punto le tecniche di prevenzione.

Gansser e Romanini

Già allora aveva capito come, in materia di sicurezza, una formazione accurata e basata sia sull’esperienza sia su solidi fondamenti scientifici fosse la garanzia più sicura per evitare gli incidenti. Ecco quindi il suo impegno per mettere a punto le prime dispense per la formazione dello scialpinista e la contemporanea partecipazione alle riunioni internazionali della CISA-IKAR dove si discuteva di tecniche di prevenzione; ecco il costante collegamento con l’Istituto delle Valanghe del Weissfluejoch di Davos e con la fondazione Vanni Eigenmann , non solo per un aggiornamento personale da trasferire agli amici italiani, ma soprattutto per ricevere i dati che permettessero di effettuare gite con maggiore sicurezza e nello stesso tempo di cominciare a stilare i primi bollettini valanghe.

Il comportamento sul terreno di istruttori e allievi, durante le gite della scuola, doveva riflettere l’insegnamento teorico ed anzi esasperare nella pratica le esperienze così necessarie per la formazione dei giovani. Nessun particolare era lasciato al caso: dalla documentazione alla formazione dei gruppi, dalla preparazione della gita alla formazione degli istruttori e allo spirito di gruppo cosi importante in montagna. L’idea portante della didattica di Fritz consisteva nello spiegare le teorie quando, sul terreno, era evidente la loro applicazione pratica; pur programmando lezioni teoriche in aula, il suo terreno preferito era la neve: la ricerca in valanga andava sperimentata, il recupero in crepaccio doveva essere effettuato praticamente, compresa possibilmente una caduta non troppo simulata del “ferito”, l’orientamento consisteva sempre nel confrontare la carta con il terreno e nell’applicare lo”schizzo di rotta” puntigliosamente preparato la sera prima in rifugio.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7