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L’anima della righini

Romanini da parte sua era il filosofo della montagna. Grande amico di Fritz ne condivideva il rigore scientifico e la passione; non tralasciava occasione di gratificarci con lodi compiaciute per infondere motivazione ed entusiasmo. Ricordo le sue colte dissertazioni sull’etica del dolore che nella sua vita aveva incontrato, mentre camminava a torso nudo in val Roseg ad un passo non facile da seguire nonostante avesse trent’anni più di me. Emilio era un libero pensatore laico, ma con un senso profondamente etico e morale della vita. La montagna per lui era una scuola estetica e di vita, un teatro dove si svolgeva una magnifica rappresentazione.
Anche se senza Gansser e Romanini la scuola Righini non sarebbe nata o almeno non avrebbe avuto quelle connotazioni di serio impegno che tuttora ne caratterizzano l’operato, lasciatemi dire che l’aspetto che io ricordo con maggiore piacere di Fritz sono le sue doti umane: l’aver saputo coniugare al rigore didattico-scientifico la comprensione delle esigenze degli individui e la loro soddisfazione umana. Lavorando sempre a stretto contatto con lui in moltissime iniziative posso testimoniare che univa l’attenzione al raggiungimento degli obiettivi che si era prefissi con l’ascolto e la motivazione dei suoi collaboratori che spesso trovava proprio nell’ambiente della “Righini”, la sua creatura prediletta. Voglio ricordare per esempio come si appoggiò agli istruttori della scuola per fare uscire la prima raccolta ciclostilata di 300 itinerari scialpinistici a non più di 250 km da Milano e più tardi per tradurre l’edizione italiana di “Scialpinismo in Svizzera” da lui curata. La dispensa da lui curata per gli allievi fu il primo testo organico (antesignano!) a disposizione in Italia di scuole e istruttori di scialpinismo.

Boshorn, 1952: Fritz, Emilio e Mario Righini
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