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L’anima della righini

Ettore Scanavini

L’ho qualificato come istruttore di scialpinismo, ma avrei meglio dovuto scrivere “amico”. Era entrato alla Righini quando io ero direttore. Mi era stato raccomandato da mia madre, amica della sua, e questo non me lo aveva reso molto simpatico. Ma poi fui conquistato dalla sua bontà, umanità, gentilezza.

Sì, Ettore era un uomo veramente buono con tutti, con gli amici e con gli estranei; con grande sensibilità rispettava i sentimenti altrui anche a costo di soffrirne. Come quella volta che, dormendo in camper nel Sahara, d’agosto, voleva tenere i finestrini chiusi per non offendere la vista dei tuareg che fossero passati di lì.

Ettore ha conosciuto Claudia, che sarebbe diventata sua moglie, alla Righini, confermando una leggenda di tanti altri istruttori e allievi. Poi ha consolidato il suo rapporto con Claudia arrampicando con lei all’altro capo delle mie corde. Quante arrampicate, quante gite fatte insieme, noi tre!

Come istruttore Ettore trasferiva le sue conoscenze agli allievi con la delicatezza propria del suo carattere: consigliava, non imponeva; suggeriva, non comandava. Aggiornato, serio, puntuale, comprensivo dei problemi di tutti, si faceva veramente carico della missione dell’istruttore nel modo più completo e ideale. Prima veniva il dovere, anche con sacrificio, poi, ma molto dopo, le sue esigenze. Godeva delle cose semplici della vita, della natura, degli affetti della famiglia e degli amici.

Lui così prudente in tutte le sue scelte, attento alla sicurezza e sempre pronto a rinunciare se le difficoltà gli sembravano eccessive, è caduto il 13 luglio del ’97 su una facile arrampicata una delle poche volte che non eravamo legati insieme.

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